Martin Heidegger ci aveva avvertito. Il grande filosofo tedesco già verso la metà del 1900 aveva intuito la "direzione" che l'umanità avrebbe intrapreso, il destino a cui si sarebbe consegnata. Basta leggere alcuni meravigliosi saggi ( "La questione della tecnica" o "la cosa", giusto per citarne alcuni ) per rintracciare in essi una parola talmente attuale da far quasi tremare i polsi: tecnocrazia. Si, esatto: il governo della tecnica. Ovviamente il buon Martin aveva in mente uno scenario diverso, proteso fra la corsa agli armamenti e la sfida tecnologica per la conquista dello spazio, ma il senso ultimo della sua lezione non cambia. Scienza e tecnica sono infinitamente preziose esattamente nello stesso modo in cui sono pericolose, per una banalissima ragione: la scienza non pensa. Essa si nutre di sé stessa, insegue i suoi obiettivi e ottiene strepitosi risultati all'interno del suo campo d'azione, del suo orizzonte di senso, della sua "pratica". Ma la pratica scientifica, così come quella tecnologica ( per comodità le equipariamo..) sono per natura lontanissime dalla pratica politica, almeno dalla politica intesa in modo socratico/platonico, intesa come "arte del vivere insieme, in società". Possiedono cioè tempi diversi, incomunicabili. Oggi, dove la dittatura tecnocratico/sanitaria ha imposto i suoi ritmi, appoggiata da una politica assente o, peggio, compiacente, il mostro di cui parlava Heidegger sembra aver dispiegato le proprie ali. La tecnocrazia si è impossessata della nostra vita e non lo ha fatto attraverso l'uso di armi nucleari o chimiche ma, semplicemente, sfruttando la negligenza di un popolo incapace di reagire davanti alle privazioni atroci a cui è stato costretto attraverso la diffusione della paura. La stessa paura a cui Bauman fa riferimento, cioè di quell'arma tecnocratica per eccellenza capace di garantire sicurezza in cambio della libertà. Si, perché la tecnocrazia si nutre delle nostre libertà, le vieta, non si cura del "vivere" comune e sociale interessandosi solamente del controllo e a come esercitarlo. Siamo solo tante piccole variabili che devono essere "normalizzate" e ridotte all'asservimento economico, culturale ed infine sociale; ecco come la distanza incolmabile prefigurata da Heidegger, oggi, nel mondo globalizzato, è rappresentata dal significato esoterico della mascherina ( "copro la bocca per evitare il dialogo" ) e della separazione sociale, del lavoro da casa e del divieto di assembramento. Nella società contemporanea che annulla le distanze ciò che resta è la distanza più abissale, diremmo sempre con Heidegger: dobbiamo essere vicini ma distanti, frequentare la "distante vicinanza"."Dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva" cantava Hölderlin in una sua poesia: seguiamo il suo consiglio, svegliamo le nostre coscienze sopite e opponiamoci a tutto ciò che ci impedisce di essere liberi, a tutto ciò che ci vuole trasformare in semplici "animali da produzione", servi della tecnica e delle sue paurose possibilità di annientamento sociale ed economico. Altrimenti sarà troppo tardi.
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