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Tutti sconfitti ma felici: l'ipocrisia della politica italiana


Hanno vinto tutti. Come nel miglior costume del popolo italico, i risultati delle regionali e del referendum dello scorso weekend sono stati salutati da tutte le parti in causa come una vittoria. Se guardiamo con più attenzione, però, possiamo tranquillamente asserire che tutti ne escono sconfitti. Partiamo proprio dalle regionali, terminate con un sostanziale nulla di fatto. A sinistra Zingaretti festeggia e nessuno capisce esattamente il perché: il centrosinistra perde le Marche e mantiene 5 regioni su 20 nel computo nazionale. Certo, i timori erano altri e le vittorie di De Luca, Emiliano e Giani hanno riportato un po' di ossigeno in casa PD; il vero problema è che i primi due sono stati abili ad accentrare su di loro buona parte delle liste civiche e a sfruttare la gestione covid ma non sono per nulla allineati alle decisioni di partito. Soprattutto De Luca, vince con percentuali esagerate motivate più dai suoi exploit da sceriffo modalità Texas Ranger in una regione praticamente covid-free che per programmi politici strutturati. In Toscana invece, come in Emilia a gennaio, la roccaforte rossa ha tenuto, seppur con percentuali in decrescita rispetto a 5 anni fa. Se Zingaretti non ha nulla di cui gioire, in casa 5 stelle va anche peggio. Tralasciando per il momento la questione referendum, si può dire senza timore di smentita che il Movimento è sparito con percentuali sotto il 10%: una bocciatura ancora più grave se si pensa che anche laddove l'attuale alleanza di governo ha corso insieme è stata battuta da Toti che ha mantenuto la Liguria.

Nello schieramento opposto le cose non vanno meglio. La Lega resta il partito più votato ma fatica a sfondare nel centro-sud, fallendo la "conquista" della Toscana in cui Salvini si era speso personalmente in modo parecchio significativo e, soprattutto, mancando quella spallata al governo che si credeva possibile. Giorgia Meloni festeggia per la crescita ( evidente ) del suo partito e per la vittoria nelle Marche ma deve fare i conti con una sconfitta netta del suo candidato in Puglia che ha rappresentato la vera grande sorpresa della tornata elettorale. Forza Italia resta con percentuali basse e salva il bilancio grazie alla ri-elezione di Toti: troppo poco per avere una parte importante nelle politiche di centrodestra, che resta il blocco politico più votato ( siamo intorno alla maggioranza assoluta ) ma non sembra avere la minima possibilità di governare.

Nota a margine interessante è la conferma dei 4 governatori uscenti presenti: ai 3 già citati si aggiunge Zaia, che tocca quota 75%, confermando come la gestione dell'emergenza covid abbia dato uno slancio enorme a chi è riuscito a sfruttarne l'esposizione mediatica.

Capitolo referendum. Vi erano pochi dubbi sulla vittoria del SI ma il povero Di Maio, spaventato da un ultimo mese in cui parecchi italiani si erano finalmente interessati al quesito elettorale facendo risalire le percentuali del No da 5% a 30%, ha gioito come un ragazzino che ha appena vinto la Coppa del mondo, cercando di far passare il risultato come un suo trionfo personale contro tutto il mondo politico. La verità, purtroppo per Gigi, è altrove: l'elettorato di centrodestra ha appoggiato il SI, mentre proprio i votanti dei suoi alleati di governo hanno bocciato la proposta, segno di una completa disconnessione all'interno della maggioranza.

Cosa succede ora? Probabilmente nulla, con PD e Movimento che hanno già ripreso in serata a bisticciare su Mes e riforma elettorale: in un paese serio ci si concentrerebbe proprio su quest'ultimo punto, mettendo a punto nei prossimi mesi i passi necessari per poter, in primavera, sciogliere le Camere e indire nuove elezioni politiche al fine di applicare la nuova riforma e risparmiare questi fondamentali 56 milioni di euro. La realtà italiana invece ci dice che per assistere al taglio bisognerà aspettare i 3 anni che ci separano dalla fine del mandato ( con conseguente mancato guadagno sui tagli ): oggi, Italia Viva e Movimento 5 stelle uscirebbero definitivamente dalla scena politica. Niente di nuovo, insomma: se volessimo dare una morale al weekend elettorale potremmo usare questo motto: se hai 315 litri di Tavernello e ne butti 115, i restanti 200 non diventano certo Barolo.

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