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Stefano Tironi

Pericolo elezioni per il governo: si va verso un "rimpasto"?


Giornate frenetiche per la presunta maggioranza di governo italiana. A margine del caos scuola, con crono-tabelle ministeriali impossibili da rispettare e migliaia di precari in attesa di trovare collocazione per l'anno scolastico in partenza, il governo si trova di fronte alla grana rappresentata dalle elezioni regionali e dal referendum sul taglio dei parlamentari. Una due giorni che darà il via ad un vero e proprio "autunno caldo" per i simpatizzanti Dem, che avrà come ultimo appuntamento il voto americano per le presidenziali. Andiamo però con ordine e cerchiamo di capire quali potrebbero essere le ripercussioni derivanti dal voto del 20 e 21 settembre.

Iniziamo dal referendum confermativo sul taglio dei parlamentari. Sulla carta non dovrebbero esserci sorprese, nonostante nell'ultimo mese il partito del No è cresciuto a dismisura: il Si viaggia secondo i sondaggi intorno al 65%, lontano dall'82% di luglio ma al sicuro o quasi da brutte sorprese. Naturalmente la maggioranza non dorme sonni tranquilli neppure davanti a questo risultato: Gentiloni, intervenuto durante la festa dell'Unità, dopo aver dichiarato la propria intenzione di voto orientata al Si e davanti all'assenza totale di applausi, ha aggiunto laconicamente " si, non mi applaudirei neanche io". Sui social del capogruppo grillino alla Camera è invece comparsa una risposta ad un lettore che faceva notare l'aumento del partito del No che suona almeno imbarazzante: "purtroppo c'è libertà di voto". Niente di nuovo in casa 5 stelle, basti pensare alle parole ( profetiche?! ) del fondatore Casaleggio secondo cui " in futuro non servirà nessun parlamento". Nonostante tutte queste inquietanti dichiarazioni l'italiano medio resta affascinato da questo taglio che nell'immaginario collettivo significa risparmio: la realtà è che questo fantomatico guadagno si concretizza in un caffè al giorno per famiglia, mentre, se davvero si volessero abbattere i costi della politica, bisognerebbe andare a colpire stipendi, rimborsi e benefit, compresi quei vitalizi unici in Europa che gravano davvero sulle tasche dei cittadini. Così invece, senza un risparmio evidente, si andrà a diminuire la rappresentatività dei territori e ad allontanare ancora di più la politica dal popolo: l'esatto contrario di ciò che il Movimento predicava nei suoi primi passi.

Veniamo alle regionali, vero piatto forte del weekend elettorale e, forse, campo di battaglia dove potrebbe accadere qualcosa di concreto. La situazione italiana oggi parla di 12 regioni governate dal centrodestra e 6 nelle mani del centrosinistra, escludendo Valle d'Aosta e Trentino Alto Adige, regioni a statuto speciale in cui le liste territoriali la fanno da padrone. Saranno 6 le regioni chiamate alle urne e potremmo assistere ad un cambiamento radicale che avrebbe ripercussioni anche su scala nazionale. Data per scontata la nuova vittoria di Zaia in Veneto ( percentuali vicino al 77%, un plebiscito praticamente ), di De Luca in Campania e di Toti in Liguria ( entrambi viaggiano intorno a quota 55%, irraggiungibili per gli altri candidati ), la vera battaglia si combatte nelle restanti tre regioni: le Marche, da sempre legate al centrosinistra, sembrano ormai pronte per il cambio della guardia, con il candidato del centrodestra avanti nettamente nei sondaggi. Situazione intricata in Puglia, dove il governatore uscente di centrosinistra paga il voto disgiunto PD-5 stelle ed è dato in ritardo rispetto al rivale di 2-3 punti percentuali: sarà volata, ma la vittoria di centrodestra nelle terre di Conte sarebbe uno smacco molto grave per il premier. L'ago della bilancia è rappresentato però dalla Toscana: regione da sempre rossa, vede la candidata leghista in netta rimonta, a solo mezzo punto percentuale dal rivale. Se cadesse anche questa roccaforte rossa il centrodestra chiuderebbe 5-1 e a livello nazionale al centrosinistra rimarrebbero solo il Lazio, l'Emilia e la Campania per un 15-3 complessivo che difficilmente sarebbe ignorabile.

Quali conseguenze, dunque? Nell'eventualità di una vera Caporetto la soluzione più concreta sarebbe un rimpasto di governo. Niente elezioni in ogni caso, ma verosimilmente porte spalancate a Draghi come successore di Conte con conseguente taglio di qualche ministro ( Azzolina in primis ) per cercare di creare un esecutivo allargato, che piaccia da destra a sinistra. Nella concretezza significherebbe un trionfo dell'Europeismo, con Draghi, uomo forte UE a pilotare le riforme che Bruxelles ci impone per avere in prestito i soldi che noi stessi abbiamo versato nel diabolico Recovery Fund; riforme che l'attuale maggioranza, flagellata da fronde interne ai 5 stelle che perdono parlamentari un giorno si e l'altro pure, non sembra essere in grado di garantire. In ogni caso, l'Italia rischia di essere risucchiata nell'imbuto europeo da dove sarà molto difficile uscire, Grecia docet.

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