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Stefano Tironi

Stato d'emergenza: la quiete prima della tempesta


Il momento della riflessioni è arrivato. Non si tratta ovviamente di voler trarre conclusioni seguendo l'indirizzo politico di ognuno di noi, che resta una scelta personale, ma di fermarsi a ragionare su quello che si prospetta davanti all'Italia e agli italiani già a partire da domani. Il tema resta, neanche a dirlo, la richiesta della proroga dello stato d'emergenza almeno al 31 dicembre ( dove la parola richiesta suona come un eufemismo ). Come prima cosa bisogna far notare che esiste la possibilità di prorogare lo stato d'emergenza fino a 12 mesi e, successivamente, per ulteriori 12: nella peggiore delle ipotesi, quindi, per tutto il 2021, con conseguenze politiche molto importanti ed inquietanti che analizzeremo in seguito.

L'aspetto più significativo riguarda però l'accoglienza che il mondo politico e non solo ha riservato alla "sparata" di Conte: se da un lato il PD ha ovviamente applaudito la proposta del premier, i 5 stelle si sono chiusi in un silenzio imbarazzante, figlio probabilmente di nuove tensioni interne e della ormai crescente insofferenza verso i metodi dispotici del "fu" avvocato del popolo. Mentre l'opposizione fa quadrato intorno ad un secco "no, grazie", Elisabetta Casellati, presidente del Senato, chiede già per domani la messa al voto della proposta, parlando di "necessità di dimostrare una democrazia compiuta" e di rivalutare i luoghi istituzionali che sono stati "evitati e messi in un angolo". La secca smentita di Palazzo Chigi, però, non lascia intendere nulla di buono: martedì si voterà sul DPCM e non sulla proroga, di cui Conte informerà il Parlamento entro il 31 luglio. A niente vale quindi l'appello di Cassesse, emerito costituzionalista, che si è espresso con toni molto rigidi e negativi contro la proroga, accompagnato dalle voci sempre più pressanti dei virologi "TV-free", da Zangrillo a Tarro, che hanno definito come semplicemente politica la mossa del governo.

Dicevamo, è il momento delle riflessioni perché domani sarà una giornata campale: sia per i politici, sia per i cittadini. Cosa accadrà quando in Parlamento, invece di Conte, si presenterà Speranza per informare sulle nuove misure che dovranno regolamentare l'estate italiana e non si voterà sullo stato d'emergenza? Le opposizioni, ma non solo, sono chiamate ad una azione forte, una "secessione dell'Aventino" in piena regola, se vogliono evitare di passare per complici di un nascente regime. Allo stesso modo, gli italiani dovranno saper agire e far sentire la propria voce: accontentarsi della "nuova normalità", fatta di mascherine, distanziamento e ingressi contingentati, di droni che sorvegliano i parchi e poliziotti impegnati a rincorrere i runner sulle spiagge oppure andare a riprendersi la "vera" normalità, la vita a cui eravamo affezionati. Questa la scelta a cui ci troviamo davanti e il peccato più grande sarebbe far scegliere ad altri per conto nostro. Riflettiamoci, perché il tempo a disposizione per farlo è sempre meno.

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