Quello di oggi è un intermezzo che ci porterà verso la conclusione della favola..
"La giustizia stessa, per quanto tanto rinomata per la sua fortuna di essere cieca, non era per questo meno sensibile al brillante splendore dell’oro. Corrotta dai doni, essa aveva sovente fatto pendere la bilancia che teneva nella sua mano sinistra. Imparziale in apparenza, quando si trattava d’infliggere delle pene corporali, di punire degli omicidi o degli altri gravi crimini, essa aveva bens’ spesso condannato al supplizio persone che avevano continuato le loro ribalderie dopo esser state punite con la gogna. Tuttavia si riteneva comunemente che la spada che essa portava non colpiva se non le api che erano povere e senza risorse; e che anche questa dea faceva appendere all’albero maledetto delle persone che, oppresse dalla fatale necessità, avevano commesso dei crimini che non meritavano affatto un tale trattamento. Con questa ingiusta severità, si cercava di mettere al sicuro il potente e il ricco.
Essendo cosí ogni ceto pieno di vizi, tuttavia la nazione di per sé godeva di una felice prosperità. era adulata in pace, temuta in guerra. Stimata presso gli stranieri, essa aveva in mano l’equilibrio di tutti gli altri alveari. Tutti i suoi membri a gara prodigavano le loro vite e i loro beni per la sua conservazione. Tale era lo stato fiorente di questo popolo. I vizi dei privati contribuivano alla felicità pubblica. Da quando la virtú, istruita dalle malizie politiche, aveva appreso i mille felici raggiri dell’astuzia, e da quando si era legata di amicizia col vizio, anche i piú scellerati facevano qualcosa per il bene comune.
Le furberie dello stato conservavano la totalità, per quanto ogni cittadino se ne lamentasse. L’armonia in un concerto risulta da una combinazione di suoni che sono direttamente opposti. Cosí i membri di quella società, seguendo delle strade assolutamente contrarie, si aiutavano quasi loro malgrado. La temperanza e la sobrietà degli uni facilitava l’ubriachezza e la ghiottoneria degli altri. L’avarizia, questa funesta radice di tutti i mali, questo vizio snaturato e diabolico, era schiava del nobile difetto della prodigalità. Il lusso fastoso occupava milioni di poveri. La vanità, questa passione tanto destata, dava occupazione a un numero ancor maggiore. La stessa invidia e l’amor proprio, ministri dell’industria, facevano fiorire le arti e il commercio. Le stravaganze nel mangiare e nella diversità dei cibi, la sontuosità nel vestiario e nel mobilio, malgrado il loro ridicolo, costituivano la parte migliore del commercio.
Sempre incostante, questo popolo cambiava le leggi come le mode. I regolamenti che erano stati saggiamente stabiliti venivano annullati e si sostituivano ad essi degli altri del tutto opposti. Tuttavia con l’alterare anche le loro antiche leggi e col correggerle, le api prevenivano degli errori che nessuna accortezza avrebbe potuto prevedere.
In tal modo, poiché il vizio produceva l’astuzia, e l’astuzia si prodigava nell’industria, si vide a poco a poco l’alveare abbondare di tutte le comodità della vita. I piaceri reali, le dolcezze della vita, la comodità e il riposo erano divenuti dei beni cosí comuni che i poveri stessi vivevano allora piú piacevolmente di quanto non vivessero prima. Non si sarebbe potuto aggiungere nulla al benessere di questa società..
Ma, ahimè, qual è mai la vanità della felicità dei poveri mortali! Non appena queste api avevano gustato le primizie del benessere, tosto mostrarono che è persino al di là del potere degli dèi il rendere perfetto il soggiorno terrestre. Il gruppo mormorante aveva spesso affermato di esser soddisfatto del governo e dei ministri; ma al piú piccolo dissesto cambiò idea. Come se fosse perduto senza scampo, maledí le politiche, gli eserciti e le flotte. Queste api riunirono le loro lagnanze, diffondendo ovunque queste parole: “siano maledette tutte le furberie che regnano presso di noi!”. Tuttavia ciascuna se le permetteva ancora; ma ciascuna aveva la crudeltà di non volerne concedere l’uso agli altri.
Un personaggio che aveva ammassato immense ricchezze, ingannando il suo padrone, il re e i poveri, osò gridare a tutta forza: “il paese non può mancare di perire a causa di tutte le sue ingiustizie!”. E chi pensate che sia stato queste severo predicatore? Era un guantaio, che aveva venduto per tutta la sua vita, e che vendeva anche allora, delle pelli d’agnello per pelli di capretto. Non faceva la minima cosa in questa società che contribuisse al bene pubblico. Tuttavia ogni furfante gridò con impudenza: “buon Dio, dateci soltanto la probità!”.
Mercurio (il dio dei ladroni) non poté trattenersi dal ridere nell’ascoltare una preghiera cos’ sfrontata. Gli altri dèi dissero che era stupidità il biasimare ciò che si amava. Ma Giove, indignato per queste preghiere, giurò infine che questo gruppo strillante sarebbe stato liberato dalla frode di cui essa si lamentava. "
Uno Stato, dunque, profondamente ingiusto, dove la Giustizia opera a favore dei ricchi e dei potenti, accanendosi sui più poveri e bisognosi che venivano in fondo trattati non secondo le leggi ma assecondando l'umore di chi tirava le fila dell'intera società. Usi e costumi molto vicini a quelli che oggi viviamo, quando ci lamentiamo dell'ingiustizia che, a nostro parere, regna nel mondo; dei privilegi di alcuni e dei torti dei molti.
Mandeville ci introduce però una riflessione molto interessante: i vizi e le ingiustizie hanno creato il benessere di tutti. In altre parole, la società del guadagno e della ricchezza, quella che fa godere di qualche piccolo vantaggio chiunque, al fine di nascondere i grandi inganni dei potenti, è costruita proprio sui vizi, sulle prevaricazioni e sulle ingiustizie. Dove i vizi privati aumentano cresce proporzionalmente la ricchezza pubblica, la forza dello Stato e il suo benessere.
Ma veniamo a noi, ai tempi d'oggi e all'Inghilterra del '700. Proprio chi più si avvantaggia e si arricchisce sulle spalle dei molti grida allo scandalo: denuncia i trucchi e i sotterfugi per paura di vedersi sottratto ciò che si è guadagnato disonestamente. Non sono forse proprio i grandi presunti benefattori, miliardari annoiati e senza scrupoli, a sbraitare di cambiamenti climatici, banche truffaldine, sovra-popolamento e sfruttamento? Non sono stati proprio loro, i grandi mecenati moderni, ad essersi avvantaggiati proprio da questi fenomeni che ora denunciano e vogliono combattere?
Nell'alveare, Giove, stanco delle lamentele delle api, darà ascolto alle proteste e alle suppliche di questi signori, che per difendere il loro patrimonio pensano sarebbe meglio una società senza più disonestà e ingiustizie. Basterà?
Alla prossima puntata..
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