La notizia del giorno è, sembrerebbe, solo l'ennesimo buco nell'acqua da parte della stampa mainstream politicamente schierata. Il ricovero di Flavio Briatore all'ospedale San Raffaele di Milano non è dovuto al Covid19 ma ad una prostatite di cui l'imprenditore soffre da un po'. L'indiscrezione, che ha cominciato a circolare nella serata di ieri grazie ad una intervista di Daniela Santanché, ha trovato conferma direttamente nelle parole di Briatore e sulle pagine del Corriere della Sera di stamattina: quasi una errata corrige, che ci permette però di condurre qualche riflessione su quanto emerso nella giornata di ieri. Premesso che non è in discussione nessun giudizio di merito sull'operato di Briatore e sul suo stile di vita, lontano anni luce da chi scrive e da tutti quelli che collaborano al nostro sito, bisogna però sottolineare le reazioni di una certa stampa e di molti opinionisti alla notizia, poi dimostratasi falsa, della positività di Briatore: una pioggia di accuse, di compiacimento, di insulti e di "ben gli sta" tutto condito da falsi scoop sullo stato di salute dell'imprenditore, per qualcuno addirittura in condizioni gravi.
Un attacco vero e proprio verso una delle personalità che negli ultimi mesi aveva sollevato dubbi sull'operato dell'esecutivo e sulla reale situazione sanitaria in cui viviamo. Peccato, diremmo noi, che come al solito si è badato più a difendere la narrazione vigente che a controllare e verificare, si è cercato di sminuire quello che era considerato avversario in nome del regime sanitario stringente che deve essere adottato.
Briatore, ricordiamolo, era stato parte in causa di una "querelle" con il governo a causa della riapertura e successiva chiusura delle discoteche: anche il questo caso, senza voler esprimere giudizi troppo marcati, acconsentire alla riapertura dei locali notturni credendo di poter far rispettare regole buone neanche per una sala da thé aveva portato Briatore ad attaccare in modo molto netto l'operato del governo che, alla prima occasione buona, ha tentato di vendicarsi schierando i suoi più incalliti cantori mainstream alla notizia del ricovero di Flavio, di fatto cadendo in una ennesima grande fregatura.
Peraltro, bisogna sottolinearlo, Briatore viene accusato di negazionismo, termine oggettivamente vergognoso se associato alla questione Coronavirus: si cerca cioè di equiparare i criminali nazisti e i loro collaboratori, artefici di una delle più grandi stragi del secolo scorso a chi, invece, pone dubbi e domande sulla attuale situazione politico-sanitaria; si cerca cioè di ribaltare il senso stesso del dialogo socratico andando a paragonare i gerarchi nazisti, che non si ponevano domande ed eseguivano scrupolosamente gli ordini che arrivavano, a chi tenta disperatamente di porre domande e condurre riflessioni su ciò che quotidianamente viviamo. Un ribaltamento delle posizioni che dovrebbe far molto pensare.
Vi è poi un altro caso interessante accaduto ieri di cui però la stampa schierata non fa parola e che apre ragionamenti ancora più inquietanti. Il 1 agosto è ripartita la stagione ciclistica con protocolli di sicurezza molto rigidi che prevedono l'esclusione di una squadra dalla competizione in caso di positività di due membri ( corridori o staff ). Proprio ieri, la Bora-Hansgrohe, squadra tra le più ricche del panorama mondiale tra le cui fila milita Peter Sagan, ha rinunciato in via precauzionale a partecipare ad una competizione in territorio francese vista la positività ad un tampone di un suo corridore. Ciò che è accaduto dopo ha del grottesco: il ragazzo, portato in ospedale e sottoposto ad esami di routine, è risultato sano, vittima di un falso positivo. In pratica, la squadra ha dovuto rinunciare all'esposizione mediatica della corsa per un risultato sbagliato. Da qui due considerazioni di ordine molto diverso. La prima di carattere sportivo: sabato partirà il Tour de France, la corsa più importante al mondo e urge rivedere i protocolli di sicurezza. Si rischia di veder vanificato il lavoro e gli sforzi di un intero anno per falsi positivi o, per assurdo, a causa di personale della squadra che non ha contatto con i corridori; senza pensare al riscontro economico, con sponsor già in difficoltà a causa del calendario ristretto che rischiano di vedere la loro squadra fuori dai giochi con perdite monetarie incalcolabili.
La seconda considerazione è invece di ordine pratico: il ciclista, come tutti gli atleti, è stato sottoposto ad esami specifici e quindi ad un nuovo tampone nell'arco di 12 ore. Nella vita di tutti i giorni, purtroppo, non va così: un falso positivo rinchiude la persona per almeno due settimane, negandole lavoro e affetti. È questa la nuova normalità a cui vogliono farci abituare?
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