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Stefano Tironi

Colpiscono la scuola per colpire i cittadini di domani


I banchi erano singoli anche nelle scuole che ho frequentato. Partiamo da questa premessa fondamentale: 13 anni sui banchi di scuola ( tralascio il percorso universitario) e ormai 11 passati dall'altra parte della cattedra, ad insegnare. In tutto questo tempo i banchi sono sempre stati singoli, sono sempre stati spostati all'esigenza ( durante le verifiche o semplicemente per un compito da svolgere in gruppo ) senza bisogno di essere muniti di rotelle o qualsivoglia diavoleria scorrevole.

Ricordo molto bene gli astucci stracolmi di penne ed evidenziatori, matite e gomme, l'immancabile "bianchetto", a volte anche un righellino; astucci belli grandi che dovevano spesso contenere anche i cellulari, che a cavallo del 2000 erano molto più ingombranti di oggi. Poi i libri, tanti, a volte tantissimi. Stipati nello zaino, da trasferire nel sottobanco non appena si giungeva in classe per poter arrivare ad estrarre il diario, relegato sul fondo della cartella, che andava inesorabilmente a ricoprire l'angolo in alto del banco: pronto all'uso, perché i miei professori quando ci assegnavano i compiti per casa raramente ripetevano. Rimaneva giusto lo spazio per il libro, dove poter seguire la spiegazione, e per il quaderno, utile per gli esercizi di matematica o per prendere appunti, rigorosamente a mano ( registrare la lezione non era neppure nei nostri pensieri ) o, come capitava, copiare i compiti per l'ora successiva dal compagno di banco, facendo attenzione ( inutilmente, direi oggi, perché dalla cattedra si vede ogni cosa..) a non farsi scoprire dal prof immerso nella lezione su Manzoni.

La faccenda diventava ben più complicata quando, insieme a tutto questo armamentario, arrivava il temuto giorno della versione di latino. Sui banchi allora campeggiavano, in maniera inquietante, i vocabolari infarciti di bigliettini su coniugazioni e declinazioni; erano un monito, il segno di ciò che sarebbe avvenuto qualche ora dopo e allo stesso modo divenivano strumenti di tortura mentre si cercavano disperatamente le proverbiali frasi fatte sotto ogni parola che componeva il verso da tradurre. Se si era fortunati, poi, nello stesso giorno in orario c'era anche disegno tecnico: le famigerate cartellette, munite di fogli A3, squadre, riga a T, compasso e tutto il necessario, venivano allora incastrate nello spazio che intercorreva fra le gambe dei due banchi, a patto che non si fosse residenti contro una parete perché allora la sistemazione era obbligatoriamente il muro.

Poi c'erano le ore di supplenza e allora tutto il materiale sopracitato veniva utilizzato per creare vere e proprie barriere architettoniche dietro le quali dedicarsi alle partite a carte con il vicino perché, forse questo sfugge a molti, la scuola è anche socialità, qualche risata e un po' di improvvisazione giovanile.

Tutto questo l'ho ritrovato tale e quale quando sono passato ad un banco un po' più grande, la cattedra appunto: con l'eccezione che, deambulando incessantemente mentre parlo di Platone e Nietzsche, rendo quasi impossibili le attività sovversive dei miei alunni. Qualcuno prova a nascondersi per copiare gli esercizi di matematica, ovviamente, ma penso in modo convinto che sia parte del gioco: i ragazzi a volte provano a fare i furbi, i docenti li scoprono. Ma nulla è cambiato in 20 anni, i vocabolari, le cartellette, i libri e i quaderni fino agli astucci sempre più colmi. Non è cambiato nulla perché questo è ciò che rende "scuola" la scuola, è il suo essere più proprio, il suo modo di progettarsi e di esistere. Non parlerò di come i nuovi banchetti semoventi proposti dal Ministero della distruzione siano scomodi, dannosi a livello posturale, inadatti anche per conferenze o riunioni di lavoro, perché questo è chiarissimo a chiunque ci si è seduto sopra almeno una volta nella vita. Sgombriamo il campo anche da un'altra tentazione, quella di indicare la minaccia contagio come responsabile: anche i banchi attuali si possono distanziare, soprattutto se il folle piano delle classi dimezzate fra scuola e casa andrà in porto. La verità è probabilmente un'altra, molto più subdola e terribile: si tratta dell'ennesima mossa verso un cambio di paradigma sociale. Vi chiedo: su quei piccoli piani d'appoggio, peraltro traballanti, quante delle attività sopra elencate si possono svolgere? Il vocabolario di latino dove trova posto? E il diario che deve essere sempre a disposizione? In che modo mi posso organizzare e scrivere appunti senza stare ingobbito sulla sedia, con l'oscillare perpetuo del quaderno sulla superficie instabile?

La risposta è semplice: non trovano spazio. Tutto ciò che rende "scuola" la scuola viene abbandonato: libri e quaderni sostituiti da realtà multimediali come tablet o portatili ( esperienza già tentata in molte scuole qualche anno fa con risultati catastrofici ), abolizione del libro stampato e, perché no, abbandono della scrittura manuale a favore di quella digitale o, peggio, della scrittura vocale. Tutto questo calpestando il senso stesso della scuola, di quell'istituzione basata su quei segni grafici così meravigliosi, capaci di infinite combinazioni e responsabili di quel processo astrattivo che ha reso l'uomo ciò che è oggi. L'alfabeto e la scrittura sono la base del nostro pensiero, delle nostre capacità intellettive e cessare di insegnare queste pratiche basilari significa voler smettere di insegnare a pensare. Fare scuola senza la "scuola", è questa la paradossale proposta che si cela dietro la caccia ai banchi "con le rotelle": un parco-giochi eterno, dove non conta più sviluppare la ragion critica ma solo costruire una massa di futuri pseudo-cittadini non pensanti, incapaci di socializzare e di "spendersi" per qualcosa di più di un lavoro alienante, naturalmente in rigorosa modalità "smart".

Consegnare la scuola alle nuove tecnologie senza essere coscienti dei limiti e delle difficoltà di queste ultime significa destinare milioni di studenti alla ricerca multi-tasking, alla superficialità della risposta subito accessibile senza richiedere l'approfondimento, l'interiorizzazione, la riflessione: come diceva Heidegger, quasi profeticamente, la tecnica allontana avvicinando, rendendo immensamente lontano ciò che ci restituisce a portata di mano. Mai parole furono più corrette, diremmo noi: la tecnica, mal utilizzata e trasformata da oggetto a soggetto stesso del discorso, nel tentativo di avvicinare i ragazzi alla scuola, li sta irrimediabilmente allontanando da essa.

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