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La scuola come "pratica in presenza"

Argomento caldo di questi primi giorni di luglio è certamente il capitolo scuola. Ciò che è successo è nella memoria di tutti: tra fine febbraio e inizio marzo tutte le scuole di ogni ordine e grado, università comprese, vengono chiuse, demandando la continuazione dell'anno scolastico alla famigerata DaD. Fin dai primissimi giorni di sospensione didattica comincia a farsi largo la voce, inizialmente un semplice sibilo poi un grido sempre più assordante, che nelle aule non si sarebbe tornati: indiscrezione rivelatasi fondata, mentre in tutte le parti del mondo i bambini e ragazzi di qualsiasi età potevano allegramente rientrare fra i banchi e concludere le loro fatiche annuali.

Tutto bene, se non fosse che già a partire dal mese di maggio siano circolate proposte più o meno strampalate ( e purtroppo non si trattava di fake news ma di vero plexiglass da posizionare fra gli alunni ) sulla ripartenza di settembre. Senza voler ricostruire puntualmente tutte le "sparate" di un Ministero in palese stato confusionale, credo sia opportuno soffermarci su una questione centrale, forse quella più significativa: la presenza e le modalità di questa presenza.

La scuola italiana è da anni soggetta ad una procedura di smantellamento ( ne parleremo, n.d.r. ) che mira alla trasformazione del nostro sistema d'istruzione in un grande asilo volto alla produzione ( si, si tratta di vera produzione) di manodopera a basso costo, senza senso critico e senza futuro. In questo senso, si è passati alla cosiddetta "scuola delle competenze", senza sapere con esattezza cosa questa vuota terminologia retorica voglia davvero dire; si è introdotta l'alternanza scuola-lavoro ( oggi PCTO, percorsi per le competenze trasversali e l'orientamento) che si traduce in stage gratuiti buoni giusto ad insegnare ad essere sfruttati e sottopagati.


Il colpo di grazia però è arrivato con la Dad: insegnamento a distanza, nessuna bocciatura ( nemmeno chi non frequentava le lezioni online ), annientamento di quel "vivere sociale" che solo la scuola, la classe, i docenti, i compagni possono trasmettere. Tutto questo di pari passo con il fenomeno Smart-working caldeggiato fortemente dallo stesso governo che procedeva a colpi di distanziamento sociale e mascherine: si insegna ai ragazzi a vivere reclusi, nelle proprie stanze, li si abitua al nuovo modo di lavorare, quello a distanza, che uccide il rapporto umano e il confronto sociale.

Facciamo un passo avanti e cerchiamo di immaginare cosa potrebbe accadere. Classi ridotte ( in parte a scuola e in parte a casa ), ingressi scaglionati, mascherina sempre in viso ( ormai divenuta il simbolo del bavaglio del pensiero divergente ), niente intervalli o momenti di convivialità, ingresso a pieno titolo della didattica "mista" in luogo di quella tradizionale in presenza. Scelte di un governo miope e probabilmente inadatto, incapace di comprendere che l'insegnamento è "vivere socialmente insieme", crescere cittadini in senso politico; la scuola è prima di tutto sguardi e voci, è "corpo vivo" prima che contenuti e conoscenze. Questi ultimi esistono e possono essere trasmessi solo nella pratica in presenza, in cui voce, gesti e mimiche si intrecciano in quel fenomeno unico che è la comunicazione umana. Proprio ciò che la "commissariata" Azzolina e il suo nuovo e inquietante supervisore Arcuri vogliono toglierci.


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